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La tutela di genitori anziani


Tutti i figli hanno l’obbligo giuridico di prestare gli alimenti ai genitori anziani, secondo quando disposto dall’art. 433 del codice civile. Il fondamento dell'obbligazione alimentare viene tradizionalmente rinvenuto nella solidarietà che si ritiene debba animare i componenti di una stessa famiglia. L’articolo in commento determina in modo tassativo e progressivo i soggetti obbligati agli alimenti. Il primo soggetto in grado di adempiere solleva gli altri dalla medesima obbligazione. L’art. 441 c.c. regolamenta l’ipotesi in cui vi siano più obbligati nel medesimo grado, tutti devono concorrere alla prestazione stessa, ciascuno in proporzione delle proprie condizioni economiche. In tal caso, il giudice dovrà porre a carico di ciascun obbligato un assegno proporzionato alla sua capacita economica, la cui somma sia sufficiente al soddisfacimento dello stato di bisogno del richiedente l’obbligo alimentare. Nel caso in cui fra più obbligati soltanto uno sia in grado di sopportare l'onere, l'obbligazione può essere posta in tutto o in parte a carico dell'unico obbligato economicamente capace. Se nessuno degli obbligati in grado anteriore sia in condizione di prestare gli alimenti, l'obbligazione stessa è posta in tutto o in parte a carico delle persone chiamate in grado posteriore. I presupposti dell'obbligazione alimentare, indicati dall’art. 438 c.c., sono lo stato di bisogno del richiedente e l'impossibilità per quest'ultimo di provvedere al proprio mantenimento. In presenza di tali presupposti, l'obbligazione alimentare sorge ex lege, indipendentemente dalla volontà del soggetto obbligato.

L’assistenza familiare è tutelata anche dal codice penale, e in particolare dagli artt. 570 e 591 c.p.

Tra le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 570 c.p. quella che interessa ai fini del nostro discorso è quella che punisce la condotta di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti, al coniuge, da cui non sia legalmente separato (comma 2, n. 2).

Si tratta di un reato proprio, in quanto può essere commesso soltanto dai soggetti su cui gravano obblighi di assistenza, stabiliti dal codice civile, verso taluni membri della famiglia. La Corte di Cassazione ha precisato che tale obbligo civile costituisce “presupposto” del reato, ad esso preesistente, rispetto al quale il giudice deve limitarsi all'accertamento, esulando dai suoi compiti ogni potestà dichiarativa o costitutiva.

La condotta sanzionata presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l'omessa assistenza deve avere l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l'obbligo di mantenimento, né con quello alimentare, avente quindi una portata più ampia. Tuttavia, l'obbligo giuridico di prestare gli alimenti costituisce il presupposto del reato: in assenza di tale obbligo il reato non sussiste.

Il soggetto deve essere in condizione di adempiere (anche parzialmente): la prova dell'impossibilità di farlo, secondo la giurisprudenza, spetta all'interessato. L'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli inadempimenti sanzionati dall'art. 570, deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di guadagni.

E’ pacifico in giurisprudenza il principio per cui in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno non è escluso dall’intervento di terzi, coobbligati od obbligati in via subordinata, sicché il reato si configura anche se taluno di questi si sostituisca all'inerzia del soggetto tenuto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza.

L’art. 591 c.p invece punisce chiunque abbandona [...] una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, con la reclusione da sei mesi a cinque anni.... La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

Si tratta di un reato proprio, in quanto il soggetto attivo può essere solo chi si trovi in una particolare relazione di cura o custodia con il soggetto passivo. Le fonti dell'obbligo di cura o custodia possono desumersi, da norme giuridiche, convenzioni pubbliche o private, regolamenti o legittimi ordini di servizio. Anche la spontanea assunzione da parte del soggetto attivo, nonché l’esistenza di una mera situazione di fatto, può far sorgere il dovere di custodia, ove il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità o controllo dell’agente.

L’oggetto della tutela penale è l’esigenza di proteggere l’incolumità delle persone che, per età o per altre cause legislativamente determinate, siano particolarmente esposte ai pericoli contro l’abbandono da parte di chi vi sia obbligato ad averne cura.

Il delitto è integrato da qualsiasi condotta attiva (o omissiva), contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo. Per abbandono si intende una condotta, contrastante con il dovere di cura e di custodia, in cui il soggetto passivo è lasciato in balia di se stesso.

Discussa la questione relativa al fatto se l’abbandono temporaneo possa integrare, o meno, gli estremi del reato ex art. 591 c.p. La giurisprudenza e la dottrina dominanti propendono per la soluzione positiva in tutti i casi in cui dall’abbandono temporaneo sia dipeso un pericolo per la vita o per l’incolumità del soggetto abbandonato. Altra parte della dottrina, invece, sostiene che la fattispecie in esame si realizza soltanto quando l’agente abbia deciso di abbandonare il soggetto passivo in maniera definitiva e non anche momentanea.